Psicologia dell’Uomo Primitivo
Una premessa
di Marco Maio
Analizzare la psicologia dell’uomo primitivo significa interrogarsi sulle potenzialità dell’Uomo, partendo dal presupposto che ciò che esprime in un tempo determinato non è la totalità delle sue possibilità, ma soltanto la totalità delle scelte che ha dovuto operare, per stabilire un’armonia nel proprio ambiente in cui evolve. L’uomo è un animale simbolico: la soddisfazione naturale dei propri impulsi (fame, sete, sessualità) è insufficiente al ristabilimento dell’armonia con l’ambiente (cioè alla possibilità di non sentirsi soggiogato, ma autonomo). La pulsione nell’uomo è chiamata da un’esigenza psichica, non fisica. Mangia non perché ha fame, ma per impossessarsi di una certa forza (di un certo animale, di un certo affetto), si accoppia non per generare ma per rigenerare la natura, ecc.
La soddisfazione di questa esigenza psichica è quella che permette l’esperienza dell’armonia (soddisfacimento). Questa esigenza è autonoma dall’oggetto e nel contenuto riflette la conoscenza che fa del potere delle forze naturali (archetipiche). La psiche si rivolge a queste forze più che agli oggetti di per sé. L’uomo ritrova il suo soddisfacimento nella possibilità di gestione del programma, non nel rispondere allo stimolo. I diversi modi in cui si perviene a questo soddisfacimento è ciò che caratterizza le diverse epoche.
L’uomo primitivo viveva in un ambiente meno psichico del nostro, in un contesto cioè non ancora caratterizzato dal segno umano. La natura era incontaminata. L’uomo era esposto potentemente a questa forza. L’uomo viveva un mondo di sensazioni. La possibilità di un commento, di una valutazione, era negata in quanto la sensazione doveva ancora esercitarsi a lungo per saturarsi e costituire quel patrimonio di esperienza per mezzo del quale comprendere la relazione col mondo.
Questo è il mondo dell’uomo primitivo. La SENSAZIONE pura è il motore fondamentale dello psichismo. Gli oggetti non potevano venir sentiti come oggetti, perché “sentire – l’oggetto” è già un atto di conoscenza (io che sono separato dall’oggetto). Questa dimensione originaria è del tutto naturale: il neonato è in simbiosi con la madre e non riconosce la sua bocca che succhia dal seno che gli si offre, è un tutt’uno il seno che dà e la bocca che prende.
La sensazione è vissuta come una divinità, perché la si legge come espressione del sistema (DIO) non come reazione personale, si dà e basta, non c’è un chi né un quando.
Utilizzare delle categorie psicologiche (freudiane, kleiniane, ecc.) per interpretare la dinamica mentale dell’uomo primitivo, significa falsificare la realtà, renderla omogenea alla forma che oggi assumono le dinamiche mentali, senza capire che questa forma è la condensazione di una determinata scelta mentale, non della dinamica mentale di per sé. È la stessa differenza tra istruzione e cultura: l’istruzione è l’armamentario per asservire la natura, per sopravvivere (la lancia per procacciarmi da mangiare, l’occupazione da impiegato, non fa differenza), la cultura è la compenetrazione nella natura, per vivere. Scambiare istruzione per cultura vuol dire perdersi.
Per interpretare la dinamica mentale del primitivo bisogna partire dal funzionamento della psiche, non dai suoi prodotti (frutto dei tempi).
La psiche delle origini possiamo immaginarla profondamente ancorata al corpo, quale veicolo di informazioni ambientali. Il corpo è ciò che permette una registrazione del campo ambientale, la psiche ciò che ne permette la lettura. Le sensazioni del corpo sono impressioni dell’ambiente. Siccome il corpo è una forma vivente che porta in sé tutta quanta la memoria dell’evoluzione del cosmo (per cui si può individuare un simbolismo del corpo – microcosmo, analogo al macrocosmo), ogni elemento naturale fa risuonare il corpo dello stesso suono. Questo suono viene poi letto dalla mente che lo utilizzerà per gestire il programma di sviluppo nel proprio ambiente.
Così per le costellazioni astronomiche. La costellazione astronomica in sé non esiste, è un’illusione ottica dell’osservatore per cui mette su uno stesso piano stelle molto lontane tra loro. Ma ciò non significa che non abbiano importanza. Innanzitutto l’atto del volgere lo sguardo al cielo, che è gesto profondamente archetipico. L’alto è da sempre associato a qualcosa di spirituale per l’uomo, basti pensare alla rivoluzione della stazione eretta come elevazione della testa al di sopra del livello dei genitali (allontanamento dalla dimensione olfattiva, spazialità della visione…). Porre in alto lo sguardo pone il corpo in risonanza con questo fatto fondamentale. La costellazione, poi, è ritrovata fuori a partire da una figura interiore di costellazione, che si proietta cioè fuori. Ma in questa proiezione acquista potere, la attiva. Assume ora un carattere psichico, come quando iniziamo a familiarizzare con un oggetto, poi lo ributtiamo in mezzo a tanti altri oggetti simili ma non familiari: il nostro oggetto manterrà per noi un’evidenza particolare, come se portasse con sé un pezzo di noi. Questo è ciò che avviene con la costellazione, si psichicizza. L’uomo configurando le costellazioni crea i suoi suoni, il suo cosmo.
Questa potenzialità dell’uomo si è potuta esprimere a partire da questo ancoraggio alle sensazioni, alla naturalità del corpo, al rapporto diretto con l’ambiente. Le produzioni cosiddette artistiche dell’uomo primitivo andranno lette, quindi, da questa prospettiva. Non tanto come riproduzione di un fatto naturale (ai fini di una riparazione, di una soddisfacimento pulsionale…) quanto come utilizzo da parte della psiche di certe forze - intuite per mezzo del corpo come veicolo informativo - al fine di una gestione dell’ambiente e di una salvaguardia di sé.
Nei prossimi articoli verranno fornite alcune interpretazioni di produzioni simboliche dell’uomo primitivo, verranno mostrate le potenzialità psichiche dell’uomo antropologico, e meglio esemplificata la dimensione originaria della sensazione, rispetto alle possibilità conoscitive ordinarie.
Chi è MARCO MAIO
Psicologo, formazione in psicoterapia analitica presso l'Université Européenne Jean Monnet - A.I.S.B.L. - Bruxelles, membro del Centro Ricerche di Psicologia Analitica Delphi - (Genova) e docente della Scuola di Counseling, socio della Società Italiana Medicina Psicosomatica (S.I.M.P.)
Una premessa
di Marco Maio
Analizzare la psicologia dell’uomo primitivo significa interrogarsi sulle potenzialità dell’Uomo, partendo dal presupposto che ciò che esprime in un tempo determinato non è la totalità delle sue possibilità, ma soltanto la totalità delle scelte che ha dovuto operare, per stabilire un’armonia nel proprio ambiente in cui evolve. L’uomo è un animale simbolico: la soddisfazione naturale dei propri impulsi (fame, sete, sessualità) è insufficiente al ristabilimento dell’armonia con l’ambiente (cioè alla possibilità di non sentirsi soggiogato, ma autonomo). La pulsione nell’uomo è chiamata da un’esigenza psichica, non fisica. Mangia non perché ha fame, ma per impossessarsi di una certa forza (di un certo animale, di un certo affetto), si accoppia non per generare ma per rigenerare la natura, ecc.
La soddisfazione di questa esigenza psichica è quella che permette l’esperienza dell’armonia (soddisfacimento). Questa esigenza è autonoma dall’oggetto e nel contenuto riflette la conoscenza che fa del potere delle forze naturali (archetipiche). La psiche si rivolge a queste forze più che agli oggetti di per sé. L’uomo ritrova il suo soddisfacimento nella possibilità di gestione del programma, non nel rispondere allo stimolo. I diversi modi in cui si perviene a questo soddisfacimento è ciò che caratterizza le diverse epoche.
L’uomo primitivo viveva in un ambiente meno psichico del nostro, in un contesto cioè non ancora caratterizzato dal segno umano. La natura era incontaminata. L’uomo era esposto potentemente a questa forza. L’uomo viveva un mondo di sensazioni. La possibilità di un commento, di una valutazione, era negata in quanto la sensazione doveva ancora esercitarsi a lungo per saturarsi e costituire quel patrimonio di esperienza per mezzo del quale comprendere la relazione col mondo.
Questo è il mondo dell’uomo primitivo. La SENSAZIONE pura è il motore fondamentale dello psichismo. Gli oggetti non potevano venir sentiti come oggetti, perché “sentire – l’oggetto” è già un atto di conoscenza (io che sono separato dall’oggetto). Questa dimensione originaria è del tutto naturale: il neonato è in simbiosi con la madre e non riconosce la sua bocca che succhia dal seno che gli si offre, è un tutt’uno il seno che dà e la bocca che prende.
La sensazione è vissuta come una divinità, perché la si legge come espressione del sistema (DIO) non come reazione personale, si dà e basta, non c’è un chi né un quando.
Utilizzare delle categorie psicologiche (freudiane, kleiniane, ecc.) per interpretare la dinamica mentale dell’uomo primitivo, significa falsificare la realtà, renderla omogenea alla forma che oggi assumono le dinamiche mentali, senza capire che questa forma è la condensazione di una determinata scelta mentale, non della dinamica mentale di per sé. È la stessa differenza tra istruzione e cultura: l’istruzione è l’armamentario per asservire la natura, per sopravvivere (la lancia per procacciarmi da mangiare, l’occupazione da impiegato, non fa differenza), la cultura è la compenetrazione nella natura, per vivere. Scambiare istruzione per cultura vuol dire perdersi.
Per interpretare la dinamica mentale del primitivo bisogna partire dal funzionamento della psiche, non dai suoi prodotti (frutto dei tempi).
La psiche delle origini possiamo immaginarla profondamente ancorata al corpo, quale veicolo di informazioni ambientali. Il corpo è ciò che permette una registrazione del campo ambientale, la psiche ciò che ne permette la lettura. Le sensazioni del corpo sono impressioni dell’ambiente. Siccome il corpo è una forma vivente che porta in sé tutta quanta la memoria dell’evoluzione del cosmo (per cui si può individuare un simbolismo del corpo – microcosmo, analogo al macrocosmo), ogni elemento naturale fa risuonare il corpo dello stesso suono. Questo suono viene poi letto dalla mente che lo utilizzerà per gestire il programma di sviluppo nel proprio ambiente.
Così per le costellazioni astronomiche. La costellazione astronomica in sé non esiste, è un’illusione ottica dell’osservatore per cui mette su uno stesso piano stelle molto lontane tra loro. Ma ciò non significa che non abbiano importanza. Innanzitutto l’atto del volgere lo sguardo al cielo, che è gesto profondamente archetipico. L’alto è da sempre associato a qualcosa di spirituale per l’uomo, basti pensare alla rivoluzione della stazione eretta come elevazione della testa al di sopra del livello dei genitali (allontanamento dalla dimensione olfattiva, spazialità della visione…). Porre in alto lo sguardo pone il corpo in risonanza con questo fatto fondamentale. La costellazione, poi, è ritrovata fuori a partire da una figura interiore di costellazione, che si proietta cioè fuori. Ma in questa proiezione acquista potere, la attiva. Assume ora un carattere psichico, come quando iniziamo a familiarizzare con un oggetto, poi lo ributtiamo in mezzo a tanti altri oggetti simili ma non familiari: il nostro oggetto manterrà per noi un’evidenza particolare, come se portasse con sé un pezzo di noi. Questo è ciò che avviene con la costellazione, si psichicizza. L’uomo configurando le costellazioni crea i suoi suoni, il suo cosmo.
Questa potenzialità dell’uomo si è potuta esprimere a partire da questo ancoraggio alle sensazioni, alla naturalità del corpo, al rapporto diretto con l’ambiente. Le produzioni cosiddette artistiche dell’uomo primitivo andranno lette, quindi, da questa prospettiva. Non tanto come riproduzione di un fatto naturale (ai fini di una riparazione, di una soddisfacimento pulsionale…) quanto come utilizzo da parte della psiche di certe forze - intuite per mezzo del corpo come veicolo informativo - al fine di una gestione dell’ambiente e di una salvaguardia di sé.
Nei prossimi articoli verranno fornite alcune interpretazioni di produzioni simboliche dell’uomo primitivo, verranno mostrate le potenzialità psichiche dell’uomo antropologico, e meglio esemplificata la dimensione originaria della sensazione, rispetto alle possibilità conoscitive ordinarie.
Chi è MARCO MAIO
Psicologo, formazione in psicoterapia analitica presso l'Université Européenne Jean Monnet - A.I.S.B.L. - Bruxelles, membro del Centro Ricerche di Psicologia Analitica Delphi - (Genova) e docente della Scuola di Counseling, socio della Società Italiana Medicina Psicosomatica (S.I.M.P.)