Le pietre vulviformi del Caprione e la sacralità della procreazione.
Il Caprione è l’estremo promontorio della Liguria orientale. Molto importante nell’antichità, è stato citato nella “Cosmographia” di Tolomeo, ove vengono elencati i primi siti di cui sono state calcolate la latitudine e la longitudine. Il Petrarca, nei suoi viaggi, si imbarcò più volte a Lerici per raggiungere Aigues Mortes, in Provenza, ed ebbe modo di descrivere sia la “rupe candida” (oggi Punta Bianca) sia lo “scoglio nero” (oggi Punta Corvo) con cui termina a mare il promontorio. Il Caprione era ricco di acque, fra cui le acque termali che sgorgavano nella dolina dei Monti Branzi (etimologia da bram, in celtico la pietra fallica). Di queste acque sono state trovate le concrezioni saline fatte risalire dal geologo prof. Roberto Chiari, dell’Università di Parma, ad un periodo fra il 20.000 ed il 15.000 a.C.. Circa 17.000 anni fa, quando il mare aveva un livello inferiore all’attuale di 110 metri, si è formato nella nostra zona un nuovo DNA, identificato dal prof. Bryan Sykes, dell’Università di Oxford, come “Tara”. Egli possiede questo DNA. Il promontorio del Caprione sottende una faglia profonda (master fault) per la quale si è aperto il Mar Tirreno. Fra le varie forme di rocce, sia modellate dalla natura, sia modellate dall’uomo, si rinvengono nel Caprione alcune pietre vulviformi. Il potere dei simboli, come spiega Sant’Agostino, è quello di far entrare nella mente conoscenze molto più complesse di quello che il simbolo può mostrare agli occhi, nella sua essenzialità. Si rinvengono pietre vulviformi (cioè simili alla parte esterna dell’organo sessuale femminile) nei seguenti siti sacri: Campo de Già, Cattafossi, Combara, San Lorenzo al Caprione, Scornia. Una simbologia complessa, di vulviforme inserito in una pietra fallica, secondo la tradizione indiana del linga + yoni, si rinviene nel sito di Fondega, posto vicino al sito di San Lorenzo. Da questo sito scende una falda acquifera che scorre sotto i ruderi della chiesa di San Lorenzo.
Premessa sacrale o olistica
L’uomo antico, educato secondo i principi dello shamanismo, cioè del rispetto e della venerazione di tutta la creazione, di cui non si riteneva affatto padrone, ma potenziale fruitore dopo essersi ingraziato le divinità protettrici dei singoli elementi, viveva in armonia col creato ed aveva la necessità di sopravvivere in una natura spesso ostile e difficile da dominare. Il sesso, e la sessualità tutta, non venivano vissuti in maniera separa dalla procreazione, anche perché l’aspettativa di vita non superava i trent’anni, soprattutto a causa delle malattie da freddo e si nutriva grande timore perché la tribù non sopravvivesse. Non appena le giovani donne raggiungevano un sufficiente sviluppo del bacino, venivano preparate al matrimonio, che si celebrava al solstizio d’estate, in modo che, dopo dieci lune, le nascite avvenissero nell’ aprile-maggio dell’anno successivo (cioè in primavera, come per i cavalli) affinché i nuovi nati arrivassero svezzati ai primi freddi del solstizio invernale. Il rischio di morte, sia per la madre sia per il bambino, era elevato ed era quindi logico che si innalzassero preghiere e si celebrassero sacrifici alle entità protettrici sia della fecondità femminile, sia della potenza generativa maschile. Gli elementi simbolici essenziali per distinguere le due capacità procreanti non potevano essere che molto semplici, cioè un elemento a punta ed un elemento concavo, identificabili, secondo la tradizione indiana derivante dal sanscrito, come il linga maschile e la yoni femminile. Nella lingua italiana i due elementi possono essere espressi con la forma conica, a punta, come la forma fallica, e con il vulviforme, sia concavo, sia passante. In tutti i siti sacri del Caprione si rinviene questa doppia simbologia, che rientra perfettamente nel dualismo della logica vitale della preistoria. Il vulviforme si può trovare in assetto verticale oppure orizzontale.
Campo de Già.
La dolina in cui si rinvengono gli elementi dell’area sacra (grande pietra a forma di losanga, spezzata in tre parti, posta sopra una pietra cava a forma cilindrica, dotata di due aperture, una superiore per l’entrata dell’acqua ed una inferiore per l’uscita; pietra a sessola o pietra del parto, a forma cava e allungata, dotata di due fori, uno per l’entrata dell’acqua ed uno per l’uscita; pietra fallica alta circa 80 centimetri; vulviforme orizzontale, passante, cioè vuoto, elevato a circa 80 centimetri) è di proprietà privata ed è recintata. Secondo una indagine fatta da una associazione di rabdomanti professionisti (muniti di Partita IVA) l’acquifero è oggi rilevabile a dodici metri di profondità.
Premessa sacrale o olistica
L’uomo antico, educato secondo i principi dello shamanismo, cioè del rispetto e della venerazione di tutta la creazione, di cui non si riteneva affatto padrone, ma potenziale fruitore dopo essersi ingraziato le divinità protettrici dei singoli elementi, viveva in armonia col creato ed aveva la necessità di sopravvivere in una natura spesso ostile e difficile da dominare. Il sesso, e la sessualità tutta, non venivano vissuti in maniera separa dalla procreazione, anche perché l’aspettativa di vita non superava i trent’anni, soprattutto a causa delle malattie da freddo e si nutriva grande timore perché la tribù non sopravvivesse. Non appena le giovani donne raggiungevano un sufficiente sviluppo del bacino, venivano preparate al matrimonio, che si celebrava al solstizio d’estate, in modo che, dopo dieci lune, le nascite avvenissero nell’ aprile-maggio dell’anno successivo (cioè in primavera, come per i cavalli) affinché i nuovi nati arrivassero svezzati ai primi freddi del solstizio invernale. Il rischio di morte, sia per la madre sia per il bambino, era elevato ed era quindi logico che si innalzassero preghiere e si celebrassero sacrifici alle entità protettrici sia della fecondità femminile, sia della potenza generativa maschile. Gli elementi simbolici essenziali per distinguere le due capacità procreanti non potevano essere che molto semplici, cioè un elemento a punta ed un elemento concavo, identificabili, secondo la tradizione indiana derivante dal sanscrito, come il linga maschile e la yoni femminile. Nella lingua italiana i due elementi possono essere espressi con la forma conica, a punta, come la forma fallica, e con il vulviforme, sia concavo, sia passante. In tutti i siti sacri del Caprione si rinviene questa doppia simbologia, che rientra perfettamente nel dualismo della logica vitale della preistoria. Il vulviforme si può trovare in assetto verticale oppure orizzontale.
Campo de Già.
La dolina in cui si rinvengono gli elementi dell’area sacra (grande pietra a forma di losanga, spezzata in tre parti, posta sopra una pietra cava a forma cilindrica, dotata di due aperture, una superiore per l’entrata dell’acqua ed una inferiore per l’uscita; pietra a sessola o pietra del parto, a forma cava e allungata, dotata di due fori, uno per l’entrata dell’acqua ed uno per l’uscita; pietra fallica alta circa 80 centimetri; vulviforme orizzontale, passante, cioè vuoto, elevato a circa 80 centimetri) è di proprietà privata ed è recintata. Secondo una indagine fatta da una associazione di rabdomanti professionisti (muniti di Partita IVA) l’acquifero è oggi rilevabile a dodici metri di profondità.
Cattafossi
Il toponimo presenta una etimologia derivante dalla pietra catzum, cioè la pietra fallica. Questo toponimo è frequenta in Liguria e lo si ritrova - in termini di continuità del sacro fra la preistoria e il Cristianesimo - nei siti ove oggi si trovano santuari mariani denominati “Madonna del Gazzo”. Celebre, per le grandi pietre falliche di marmo bianco, quello posizionato a Genova, sotto il più grande santuario della Liguria, il Monte Figogna. Anche questo santuario era dedicato alla sacralità della procreazione, perché in origine si chiamava “Ficogna”, cioè si trattava di un toponimo doppio, formato dalla voce ficla (l’offerta delle Tavole di Gubbio costituita dalla torta col buco, dedicata alla fecondità femminile), e dalla voce coni, cioè il cuneo, ovvero la pietra fallica. Cattafossi è ricco di pietre falliche ed è circondato da muraglie. Vi si trovano però due pietre a sella che, in basso, hanno una apertura vulviforme. Le due selle risultano orientate verso il sorgere del Sole al solstizio d’inverno (come il vulviforme di Scornia). Vi si trovano anche due piccoli luoghi circolari aperti (non chiusi come i cavanei) che avrebbero potuto essere usati come luoghi per il coito.
Nella foto: la pietra a sella con in basso il vulviforme. Le due pietre simili risultano orientate al sorgere del Sole al solstizio d'inverno.
Il toponimo presenta una etimologia derivante dalla pietra catzum, cioè la pietra fallica. Questo toponimo è frequenta in Liguria e lo si ritrova - in termini di continuità del sacro fra la preistoria e il Cristianesimo - nei siti ove oggi si trovano santuari mariani denominati “Madonna del Gazzo”. Celebre, per le grandi pietre falliche di marmo bianco, quello posizionato a Genova, sotto il più grande santuario della Liguria, il Monte Figogna. Anche questo santuario era dedicato alla sacralità della procreazione, perché in origine si chiamava “Ficogna”, cioè si trattava di un toponimo doppio, formato dalla voce ficla (l’offerta delle Tavole di Gubbio costituita dalla torta col buco, dedicata alla fecondità femminile), e dalla voce coni, cioè il cuneo, ovvero la pietra fallica. Cattafossi è ricco di pietre falliche ed è circondato da muraglie. Vi si trovano però due pietre a sella che, in basso, hanno una apertura vulviforme. Le due selle risultano orientate verso il sorgere del Sole al solstizio d’inverno (come il vulviforme di Scornia). Vi si trovano anche due piccoli luoghi circolari aperti (non chiusi come i cavanei) che avrebbero potuto essere usati come luoghi per il coito.
Nella foto: la pietra a sella con in basso il vulviforme. Le due pietre simili risultano orientate al sorgere del Sole al solstizio d'inverno.
Combara
Il sito di Combara presenta anch’esso un toponimo doppio, formato da combe o comba (il toponimo è di origine celtica e corrisponde a valle sinclinale o valle aperta da un solo lato) e dall’ara. Vi sono due grotte, di cui una aperta al tramonto del Sole al solstizio d’inverno, con sotto un sedile ad esedra, ed una grotta che sembra dedicata alla nascita, perché all’interno ha una pietra altare e, secondo i geologi, era attraversata in antico da una vena d’acqua. Vi è anche una grande pietra che presenta delle coppelle, che indicano le costellazioni di Cassiopea e del Toro, così come identificate dallo studioso lettone Andis Kaulins, conterraneo ed amico di Marija Gimbutas. Poco più in basso vi si trovano alcune cavità naturali che inducono a pensare all’organo sessuale femminile.
Il sito di Combara presenta anch’esso un toponimo doppio, formato da combe o comba (il toponimo è di origine celtica e corrisponde a valle sinclinale o valle aperta da un solo lato) e dall’ara. Vi sono due grotte, di cui una aperta al tramonto del Sole al solstizio d’inverno, con sotto un sedile ad esedra, ed una grotta che sembra dedicata alla nascita, perché all’interno ha una pietra altare e, secondo i geologi, era attraversata in antico da una vena d’acqua. Vi è anche una grande pietra che presenta delle coppelle, che indicano le costellazioni di Cassiopea e del Toro, così come identificate dallo studioso lettone Andis Kaulins, conterraneo ed amico di Marija Gimbutas. Poco più in basso vi si trovano alcune cavità naturali che inducono a pensare all’organo sessuale femminile.
Fondega
In questo sito l’elemento importante sembra essere stata l’acqua, ancora ricordata dagli anziani che vivevano a San Lorenzo, e poi identificata dalla équipe di rabdomanti. Importante la presenza di alcune pietre a punta che contengono, in basso, anche la fessura corrispondente alla yoni. Una simile combinazione, di entrambi gli elementi della procreazione in uno stesso manufatto, è usata ancora oggi in India come amuleto domestico.
San Lorenzo al Caprione.
È il luogo noto universalmente come sito della “farfalla dorata”. Qui sono evidenti le forme falliche, mentre il vulviforme è da ricercare un poco dietro la grande pietra fallica su cui si proietta la farfalla di luce. La disposizione del vulviforme è orizzontale ed appare chiaro che la struttura si sia formata come sorgente. La pietra fallica più piccola, posta davanti alla grande pietra ove si forma la farfalla, si eleva di circa 80 centimetri dal terreno. Il sito, di proprietà privata, non è recintato e finora è rimasto aperto alle visite.
In questo sito l’elemento importante sembra essere stata l’acqua, ancora ricordata dagli anziani che vivevano a San Lorenzo, e poi identificata dalla équipe di rabdomanti. Importante la presenza di alcune pietre a punta che contengono, in basso, anche la fessura corrispondente alla yoni. Una simile combinazione, di entrambi gli elementi della procreazione in uno stesso manufatto, è usata ancora oggi in India come amuleto domestico.
San Lorenzo al Caprione.
È il luogo noto universalmente come sito della “farfalla dorata”. Qui sono evidenti le forme falliche, mentre il vulviforme è da ricercare un poco dietro la grande pietra fallica su cui si proietta la farfalla di luce. La disposizione del vulviforme è orizzontale ed appare chiaro che la struttura si sia formata come sorgente. La pietra fallica più piccola, posta davanti alla grande pietra ove si forma la farfalla, si eleva di circa 80 centimetri dal terreno. Il sito, di proprietà privata, non è recintato e finora è rimasto aperto alle visite.
Scornia
Il sito, assai ampio, presenta molte tipologie di pietre sacre (il templum, cioè due trincee ortogonali, di cui una orientata al sorgere equinoziale, al cui centro è posto il solium per l’augure; la struttura, formata da due massi sovrapposti, di diversa natura geologica, di cui il superiore con la sella fatta per sgozzare gli animali sacrificali, con il relativo inghiottitoio per l’assorbimento del sangue nella terra; l’altare per le offerte non cruente, posto al centro di un cerchio di pietre; la canoa tantrica per l’armonizzazione dei chakra del maschio e della femmina; la pietra a scivolo per l’offerta dei liquidi sacrificali; il tremnu cioè il piccolo altare alto 80 centimetri, a forma triangolare, in cui, secondo le Tavole di Gubbio si potevano porre le offerte formate da striscioline di pastella (da ciò deriverebbe il termine “trenette” della cucina ligure); una pietra conformata a modo di calamita; quattro vulviformi, di cui uno verticale, passante, orientato verso il sorgere del Sole al solstizio d’inverno; uno verticale non passante; uno verticale non passante che doveva essere in antico una sorgente, presso il quale è stata rinvenuta una pietra a forma fallica; uno orizzontale in cui si è trovata infissa una pietra a forma fallica. Il sito di Scornia presenta un interessantissimo toponimo derivante dalla radice celtica skeir-na (il luogo delle rocce). Nei catasti moderni il luogo è definito “Rocchette di Scornia” e si presenta quindi come un toponimo doppio perché all’antica denominazione si è sovrapposta l’indicazione equivalente in lingua italiana.
Il sito, assai ampio, presenta molte tipologie di pietre sacre (il templum, cioè due trincee ortogonali, di cui una orientata al sorgere equinoziale, al cui centro è posto il solium per l’augure; la struttura, formata da due massi sovrapposti, di diversa natura geologica, di cui il superiore con la sella fatta per sgozzare gli animali sacrificali, con il relativo inghiottitoio per l’assorbimento del sangue nella terra; l’altare per le offerte non cruente, posto al centro di un cerchio di pietre; la canoa tantrica per l’armonizzazione dei chakra del maschio e della femmina; la pietra a scivolo per l’offerta dei liquidi sacrificali; il tremnu cioè il piccolo altare alto 80 centimetri, a forma triangolare, in cui, secondo le Tavole di Gubbio si potevano porre le offerte formate da striscioline di pastella (da ciò deriverebbe il termine “trenette” della cucina ligure); una pietra conformata a modo di calamita; quattro vulviformi, di cui uno verticale, passante, orientato verso il sorgere del Sole al solstizio d’inverno; uno verticale non passante; uno verticale non passante che doveva essere in antico una sorgente, presso il quale è stata rinvenuta una pietra a forma fallica; uno orizzontale in cui si è trovata infissa una pietra a forma fallica. Il sito di Scornia presenta un interessantissimo toponimo derivante dalla radice celtica skeir-na (il luogo delle rocce). Nei catasti moderni il luogo è definito “Rocchette di Scornia” e si presenta quindi come un toponimo doppio perché all’antica denominazione si è sovrapposta l’indicazione equivalente in lingua italiana.
Filitosa (Corsica)
In questo sito, famoso per le sue statue stele, si rinviene una combinazione di elementi che dimostra la sacralità della procreazione potenziata con l’energia del Sole. Vi si trova infatti il più grande vulviforme finora osservato, attraverso il quale si vede il grande pietrone denominato “menhir occidentale”, in allineamento con il tramonto del Sole all’equinozio. All’osservazione fatta al momento della scoperta (nessuno aveva mai fatto questa operazione perché non si era considerata la vera natura della pietra vulviforme) il Sole che tramontava sul lontano crinale formava – con il lembo superiore – un allineamento perfetto con l’estremità appuntita del menhir e con la “cuna” del vulviforme!
Da questa perfetta struttura di archeoastronomia si può capire come l’invocazione del Sole, denominato come il dio Belemnos dai Celti, sia rimasta fra i Liguri come “belin”, che oggi non è più una preghiera, ma semplicemente indica il membro maschile nel linguaggio popolare. Infatti è storicamente accertata la compresenza nel territorio ligure di tribù celtiche in pianura, e di tribù liguri sulle sommità dei monti.
In questo sito, famoso per le sue statue stele, si rinviene una combinazione di elementi che dimostra la sacralità della procreazione potenziata con l’energia del Sole. Vi si trova infatti il più grande vulviforme finora osservato, attraverso il quale si vede il grande pietrone denominato “menhir occidentale”, in allineamento con il tramonto del Sole all’equinozio. All’osservazione fatta al momento della scoperta (nessuno aveva mai fatto questa operazione perché non si era considerata la vera natura della pietra vulviforme) il Sole che tramontava sul lontano crinale formava – con il lembo superiore – un allineamento perfetto con l’estremità appuntita del menhir e con la “cuna” del vulviforme!
Da questa perfetta struttura di archeoastronomia si può capire come l’invocazione del Sole, denominato come il dio Belemnos dai Celti, sia rimasta fra i Liguri come “belin”, che oggi non è più una preghiera, ma semplicemente indica il membro maschile nel linguaggio popolare. Infatti è storicamente accertata la compresenza nel territorio ligure di tribù celtiche in pianura, e di tribù liguri sulle sommità dei monti.