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SERENDIPITA’ E COINCIDENZE DI LUNIGIANA
Simboli uguali in luoghi lontani fra loro.

LA TRADIZIONE DEI FUOCHI DI SAN GIOVANNI, LA FARFALLA DORATA CHE SI FORMA NEL TETRALITE DI SAN LORENZO AL CAPRIONE E LA SERENDIPITA’ DI QUESTA SCOPERTA.

Secondo il principio della “continuità del sacro” nei “luoghi alti” della preistoria, nel territorio di San Lorenzo al Caprione (Comune di Lerici, Liguria di Levante) ne ritroviamo uno degli esempi più belli: dalle feste interlunari della preistoria, alla presenza cristiana della chiesa della San Lorenzo, alla recente  presenza  del Tempio Buddista “Musang Am”, ovvero il “tempio senza forma”. La liturgia preistorica della farfalla dorata  che si forma nel tetralite del Caprione (etimologia dal kabru-kapru-kaprum delle Tavole di Gubbio, cioè il capro espiatorio, del tutto simile ai libri del Levitico e del Deuteronomio della Bibbia) cerimoniale che  ci riconduce alla cosmogonia sciamanica, cioè alla  formazione degli spiriti degli uomini nella costellazione-generatrice (nella Liguria di Levante  Cassiopea), nella discesa sulla Terra come periodo di prova per procedere nella  consapevolezza, quindi alla morte del corpo, e quindi al ritorno alla costellazione-generatrice degli antenati attraverso l’azione dell’animale psicopompo, cioè la farfalla di luce, l’angelica farfalla di cui scrive anche  Dante nella “Commedia”. A San Lorenzo, oltre alla celebrazione della cosmogonia degli antenati, si riuniva  la tribù (si pensa costituita da 30-40 persone in base allo spazio di riunione dell’esedra che è stata costruita nella direzione del Sole che tramonta) per celebrare i matrimoni nelle feste interlunari del Solstizio d’estate, festività che è stata incorporata  nel Cristianesimo  come festa della natività di San Giovanni il Battista. La tradizione fa celebrare i fuochi nei “luoghi alti”  e fino alla Seconda Guerra Mondiale si potevano vedere nella Valle del Magra tutti i fuochi che bruciavano sui monti. La spiegazione delle feste interlunari dedicate ai matrimoni si spiega antropologicamente con la necessità della programmazione delle nascite, in modo che i bambini nascessero nel periodo più favorevole dell’anno. Occorreva quindi che le giovani donne, che avevano circa quindici anni (allora si moriva attorno ai trent’anni per le dure condizioni di vita all’aperto)  dopo aver avuto il permesso dalla sciamana (o dallo  sciamano) in base alla larghezza del bacino (si voleva evitare che le giovani donne morissero di parto e che si potesse così  estinguere la vita della tribù)  dovevano consumare il matrimonio e rimanere sicuramente “in cinta”. Come si poteva ottenere con sicurezza ciò, in modo che dopo dieci lune dal solstizio  (29 x 10 = 290 giorni) i bambini nascessero  nella prossima primavera? Conoscendo gli sciamani  il progress fra enzimi ed ormoni, e quindi la capacità di funzionamento delle singole ghiandole demandate  alla riproduzione, si doveva far rimanere le giovani donne per tutta la lunazione in un terreno caratterizzato da forti apporti elettromagnetici che garantissero il pieno funzionamento del loro apparato riproduttivo.

San Lorenzo è un sito ricco di campi elettromagnetici, come il resto del Caprione, perché è attraversato dalla grande faglia (geologicamente una master-fault) con cui, nelle ere geologiche precededenti,  si è aperto il Mar Tirreno.  Per chi nutrisse dubbi in proposito, basterebbe vedere sia gli alberi che lì si alzano snelli, senza rami (la notevole presenza di campi ionici impedisce che si aprano i rami con l’angolo di 157°) sia  le fotografie dei fulmini a quadro che si formano al di sopra del promontorio, che sono anche stati inviati anche al C.N.R.,  all’attenzione del  grande   studioso  del clima che è il  dr. Giovanni Gregori.

Ma come è stato possibile  arrivare alla scoperta della “farfalla dorata”? Attraverso tutta una successione di fatti, propedeutici uno dell’altro, tanto da far nascere un caso di serendipità. Non ci sarà bisogno di definire un tale concetto, se si potrà seguire il succedersi degli eventi. Nel promontorio del Caprione è stata costruita nel XIII secolo una chiesina perfettamente orientata con l’abside a Est, che è rovinata circa un secolo più tardi, perché costruita sulla suddetta master-fault (i monaci antichi non conoscevano la differenza fra frattura e faglia, ma usavano i campi elettromagnetici che vi venivano emanati). Presso questa chiesina vi era una macina a remo della Cultura la Tène (V secolo a .C.) per macinare i cereali pagando la cosidetta “tassa sul macinato”, da cui erano esentati soltanto i poveri e gli storpi.

Qualcuno, negli anni sessanta del Novecento, con una ruspa, ha asportato la macina e la ha nascosta nel bosco, per poter aprire una strada agricolo-forestale. Cercando e ricercando è stato possibile ritrovare detta macina, che per fortuna non  era stata ribaltata, altrimenti non avremmo mai potuto riconoscerla. Considerata la rarità di questo reperto, venivano portate le scuole e  le università popolari  a farvi visita. Durante una visita, in un pomeriggio di aprile del 1996, della Università delle Tre Età di Lerici, si sentirono dei rumori nel bosco, ed il sottoscritto ebbe la “beneaugurata” idea di ipotizzare la presenza dei cinghiali, che vivono numerosi nel Caprione. Il terrore si impadronì delle frequentatrici del corso sulla storia del territorio, per cui dissi che io mi sarei trattenuto lì per fermare i cinghiali, e che loro salissero pure il più  velocemente possibile verso la chiesina. Mentre mi trattenevo lì notai come nel macchione di rovi antistanti sembrasse di vedere come un buco di luce.  Quando tutto il gruppo   uscì dalla strada forestale rientrammo in sede. Giunto a casa chiesi a mia moglie di prepararci per l’indomani a fare un disboscamento di un macchione, con le dovute attrezzature di protezione. Il giorno successivo iniziammo l’opera, che durò due giorni ed emerse così il tetralite (cioè la struttura megalitica  formata da quattro pietre, cioè  i due ortostati sormontati dalla losanga e la pietra trasversa alla base, che lasciavano all’interno un vano percorribile dalla luce). Immediatamente pensai  ad un orientamento astronomico al solstizio d’estate. Dissi così a mia moglie che avremmo dovuto controllare ciò nella prima decade di giugno. Per capire lo svolgersi della serendipità, va detto che qualche mese prima i boscaioli avevano completamente tagliati gli alberi del bosco antistante il tetralite, per cui la luce entrava in abbondanza in quella parte del bosco. Tornammo a giugno e potemmo constatare che la luce del Sole, al tramonto, penetrava il  tetralite! Fu un momento di grande gioia pensare che avevamo scoperto una struttura calendariale dei nostri antenati (sia mia moglie sia io siamo portatori dello 0 Negativo, legati quindi cacciatori paleolitici). Va notato che 17.000 anni fa, secondo le scoperte di genetica del prof. Bryan Sykes, dell’Università di Oxford, nella nostra zona costiera si era formato un nuovo DNA di cui lo stesso professore era portatore. Questo DNA è oggi posseduto dal 9% della popolazione mondiale, ma è diffuso soltanto  nella nostra zona (costa della Lunigiana), in Provenza,  nell’Inghilterra atlantica  e nell’Irlanda atlantica. Invitammo gli amici e gli studiosi di archeoastronomia  (avevamo nel frattempo fondato la Associazione Ligure Sviluppo Studi Archeoastronomici – A.L.S.S.A.). Per meglio capire lo scenario della scoperta va detto che il mare era allora 110 metri più basso dell’attuale e le notevoli quantità di acqua termale che sgorgavano nel Caprione  (di cui avevamo ritrovato le concrezioni saline, fatte analizzare presso l’Università di Parma) potevano aver formato un grande lago termale nello spazio geografico che attualmente è identificabile come la rada della Spezia. Una sera, eravamo soli io e mia moglie, dopo aver osservato il Sole che penetrava il tetralite, ci accingemmo a risalire verso la chiesina, meditando con gioia  sulla bellezza della scoperta.  Mi venne l’impulso a girarmi indietro, per riguardare l’eccezionalità del costrutto, e così potei notare una macchia di luce dorata su una pietra retrostante il tetralite. Tornai indietro di corsa e rimasi scosso, non era una macchia informe, ma aveva una precisa connotazione, sembravano due ali, separate fra loro. La luce del Sole colpiva la grande pietra retrostante il tetralite  e si comportava come il proiettore di diapositive!  Ma cosa avevamo scoperto?  La reazione degli studiosi di archeoastronomia fu rabbiosa. Cosa stavo proponendo? Impossibile da credere! Masturbazioni mentali!  Tentativo di plagio! Hai manomesso qualcosa ecc. ecc.. Fu necessario studiare molto e venne la salvezza attraverso le scoperte della grande archeologa americana dell’Università di California Marija Gimbutas (di origine lettone), cioè il ritrovamento in Puglia della statuetta della sciamana di Passo di Corvo (Foggia) che sotto i due seni porta le due farfalle e le due costellazioni di Cassiopea. Quella statuetta era stata datata al 5.500 a C. e ciò coincideva con la datazione fatta dall’archeologo del C.N.R. di Francia Roger Grosjean, che aveva trovato in Corsica, sotto il Monte Cinto, nel territorio di Niolu, un trilite del tutto eguale a quella parte di trilite del tetralite di San Lorenzo al Caprione. Lì non vi era la pietra trasversale e quindi non vi si poteva formare la farfalla, ma egli (che non conosceva l’astronomia enon capì il senso del costrutto) datò il tutto al 6.000 a.C.. Poiché i costruttori del tetralite avevano agito quando non vi era ancora il bosco, ma il terreno  era ricco di acque ed erba, non vi poteva essere quel giovane frassino che, nato proprio in direzione del culmine basso della losanga, aveva contribuito a far separare, con la sua precisa ombra, le due ali della farfalla (aiutando così a capire meglio la semantica della scoperta). Fu necessario tagliarlo, per riportare l’immagine solare alle origini. Oggi si può ripercorre tutto il concatenamento  di fatti che hanno portato alla scoperta di questa eccezionale liturgia preistorica (cioè la celebrazione della sacralità del matrimonio e nel contempo  della cosmogonia sciamanica, con l’animale psicopompo) che ha fatto si che i Buddisti della tradizione coreana siano venuti a stabilire un loro “tempio senza forma” ove hanno ritrovato una archetipo della loro liturgia funebre.  Ma come si è potuto collegare questa cosmogonia con la costellazione-generatrice di Cassiopea? Percorrendo in lungo e largo il Caprione, specie dopo che erano  scoppiati i terribili incendi dolosi del solstizio d’estate (sono stato fondatore della Squadra Antincendi Boschivi e per decenni ho spento incendi anche in territori vicini) ho potuto scoprire luoghi ricchi di megaliti, prima ricoperti dalla fitta macchia mediterranea, che, messi diligentemente in carta (soprattutto utilizzando carte nautiche, che sono capaci di mantenere le direzioni azimutali) hanno  formata una W, con lati sapientemente orientati! Ecco il perché dell’insorgere degli studiosi di archeoastronomia (che non possono accettare la serendipità, che in “The Concise Oxford Dictionary”  è indicata come “The faculty  of making happy and unexpected discoveries by accident”).  

Enrico Calzolari

Semiologo d’ambiente .
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