Avvistamento di UFO presso le Isole Azzorre nell'autunno del 1956
Mi ero diplomato all’Istituto Nautico “Nazario Sauro” della Spezia nell’anno 1956, come miglior allievo fra i Capitani, vincendo il Premio “Armatore Giobatta Bibolini”, consistente in un premio in lire e nell’imbarco immediato sulla flotta. Dopo aver passato l’estate al mare fui imbarcato sulla M/N “Oscar Sinigaglia”, la prima nave in serie costruita in Europa nel Progetto “Capitani del lavoro”, sviluppato presso il Cantiere Navale del Muggiano (La Spezia). Morì l’armatore e l’intera flotta fu ripartita fra i tre eredi. La nave capitò nel patrimonio del Conte Cao di San Marco, marito della nipote Amelia, per cui fu necessario preparare le paghe dell’equipaggio a bordo. Fu incaricato di ciò il secondo ufficiale, che era di Lerici. Passato così a giornaliero fu necessario sostituirlo nella guardia. Il Comandante, che era di Milano, dopo un primo incontro di presentazione basato sullo “sfottò” che noi lericini avevamo il libretto staccato navigando in un peschereccio o nella “lofa” (aria che esce dal sedere senza fare rumore), dovette ricredersi perché io avevo già navigato come mozzo-allievo nautico su una nave petroliera più grande della sua nave, riducendo sì il periodo di frequenza della scuola, ma imparando moltissimo soprattutto nella navigazione costiera. La nave, per ridurre le miglia di navigazione fra la Raffineria RASIOM di Augusta e i campi-boe di Banias (Siria) e di Tripoli di Soria (Libano), invece di fare navigazione di altura all’esterno di Creta, si addentrava fra le isole greche, doppiando Capo Klides (Cipro), andando anche a salutare i fanalisti, ma con l’obbligo di fare il punto nave ogni quarto d’ora per evitare la deriva dovuta alle correnti che si generavano fra le varie isole. Il ritorno al mare aperto avveniva fra Kithera e Anti-Kithera (Cerigo e Cerigoto), in prossimità di quel Capo Matapan, che aveva visto morire in un mare infestato da pescicani miglia di marinai italiani, fra cui molti di Lerici (Scontro di Gaudo e Matapan, 28 marzo 1941). In quell’occasione Churchil, in un discorso alla Camera dei Comuni, aveva detto che la flotta italiana “era stata stracciata”, mentre il “marinaio comandante in mare” Ammiraglio Cunnighan, attraverso il Canale Civile di Sicurezza Radio-marittima, aveva avvisato Supermarina Roma di fare intervenire le navi ospedali italiane, perché gli Inglesi, pur avendo raccolto un migliaio di naufraghi come prigionieri, non potevano restare in loco, temendo gli attacchi dei sommergibili italiani e tedeschi. Dopo giorni arrivò il “Gradisca”. Visto che sapevo tante cose, e soprattutto che i miei punti nave erano i più precisi fra tutti gli ufficiali, facendo anche i trasporti nella navigazione di altura in caso di nebbia in prossimità dei campi minati che esistevano ancora nel Mare del Nord (avevo allora undici decimi in tutti due gli occhi), mi affidò la guardia in via temporanea, finché il Secondo non avesse finito il turno gionaliero. In ogni caso, in presenza di anomalie, avrei dovuto avvisare subito il Comandante. Una notte, in prossimità delle Isole Azzorre, verso le due, avvistai una grande luce rossa, dritta di prora. Questa si fermò, schizzò ortogonale a sinistra, velocissima. Si fermò e velocissima ritornò sul punto iniziale. Si fermò, schizzo velocissima a destra, sempre con una traiettoria ortogonale alla prora. Tornò ancora indietro, nel punto iniziale. Quindi schizzò via velocissima in direzione della prora e scomparve. Di fronte a queste apparizioni, pensai che fossimo capitati in una manovra aeronavale di Americani o Russi e così mandai il marinaio a chiamare il Comandante (avevamo infatti il giro-pilota inserito). Il Comandante salì in plancia e accese il Radar, ma non vide nulla, se non le Isole Azzorre. Mi arronzò di brutto e minacciò di allontanarmi dalla guardia, promettendomi che se avessi avuto altre allucinazioni, me lo avrebbe scritto nel libretto. Intanto avrei dovuto offrire whiskey a tutti gi ufficiali di coperta di bordo. Arrivammo a Newport News e per l’entrata nel fiume venne a bordo il pilota. Era tradizione che il pilota offrisse al Comandante il giornale del giorno. Il Comandante si prese il giornale e andò a sedersi in sala nautica per godersi le ultime dal mondo. Improvvisamente si alzò in piedi dicendomi: “Calzolari, vieni a leggere!”. Il pilota rimase sconcertato e fu necessario spiegargli perché. Nel giornale era riportato che un ufficiale di una nave polacca, qualche giorno prima, giunto in porto, aveva riferito alla stampa di avere avuto una eguale visione traumatica. Allora il Comandante mi concesse di nuovo tutti gli onori e promise che sarebbero stati gli altri ufficiali a offrire a me il tributo in whiskey. Io non ero rimasto traumatizzato dal fatto, perché nel 1955, in navigazione da Capo Matapan alla Sicilia, mentre ero di guardia con il Secondo Ufficiale, vidi una palla di fuoco, apparire lontana, nel cielo. Appariva e scompariva. Avvisai il Secondo, che era di Riposto, e questi disse che non aveva mai visto nulla di simile. Allora andai in sala carteggio, feci alcuni calcoli e gli dissi che non poteva essere altro che l’inizio di una eruzione dell’Etna. Fui preso in giro in dialetto siciliano. Allora proposi una scommessa. Saremmo andati dal marconista, che alle cinque avrebbe aperto la Sala Radio. Alle cinque andammo. Il Marconista restò sorpreso di quella visita, aprì l’Agenzia Italia: “L’Etna aveva iniziato ad eruttare”, se non ricordo male, attorno alla tre del mattino. Il Secondo dovette pagare il tributo in whiskey per tutti.